Ugo Mastrogiovanni

Ugo Mastrogiovanni

Poesie

 

Spesso

Mi succede spesso,
soprattutto quando
il mondo di quei giorni passa,
bussa e mi fa capolino.
Appoggiando la mia alla tua fronte,
vo ritornando a monte
di quando, abbracciati,
vicino ti stringevo al cuore;
ad occhi chiusi,
per vagare altrove.
Trepidi e fusi, sognavamo;
e lo facciamo ancora,
anche se ormai questo presente,
che tuttora commuove,
alterna una sorgente d'amarezze
ad una falda di dolcezze al miele.

 

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Fratelli d'Italia

Fratelli d'Italia l'Italia s'è desta,
parlo di quella, non certo di questa.
Adesso dell'inno che cosa è cambiato,
cosa ne pensa di questo lo stato?
Quell'elmo di Scipio tanto parlato
in casco integrale è stato mutato.
Come vittoria abbiam la Brambilla
per un turismo che poco sfavilla.
Roma fa leggi e le manda repente
alla gente d'Italia che schiava si sente.
"Stringiamoci a coorte" è stato abolito
perché il senatur si sentiva tradito;
"perché siam divisi" nessuno lo sa,
era d'uso così e così si userà.
"Pronti alla morte" neanche per sogno
il parlamento non ne vede il bisogno.
"Uniamoci, amiamoci, l'unione e l'amore"
di questo se n'occupa un famoso signore.
"I bimbi d'Italia si chiaman Balilla"
infatti c'è sempre chi parla e chi strilla;
chi rompe i Maroni, chi se La Russa.
Sacconi spartisce, Tremonti ci bussa,
nessuno più pensa a "Le spade vendute"
abbiam deputati di larghe vedute:
c'è chi telefona, chi illustra la legge,
chi gioca all'iPod, chi parla e chi legge
è Fitto di generi il Transatlantico,
perfino i nomi han del romantico:
ci sono Lupi e Gatti, Orsi e Leoni,
Barbari e Angeli, Zucche e Meloni,
Cardinale e Papa Angelici e Fini
e proprio per questo non fanno Casini.
Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta,
corriamo al palazzo lì si fa festa.

 

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Freddo in montagna

La stanza rigida e l’alito che fuma.

Sibila il vento, ulula, infuria,

sbatte, s’adira.

Un noce nell’orto combatte;

scheletrito e bruno si curva,

scricchiola, si drizza, quasi s’abbatte;

si scuote, s’inchina, si torce.

Sull’erba in ginocchio,

atterrito e tremante, piagnucola il passero:

a stento saltella.

Belante un agnello prillando rincasa,

rincasa intirizzito un cane,

un pastore ammantato s’affretta;

la vetta ondeggiante si copre di nebbia.

Qualche finestra s’assicura sbattendo;

continua il vento e il cielo s’abbuia.

Fumano i comignoli.

(1960)

 

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Chi sei per me

Tu sei per me la nuvoletta bianca

che soffice e lontana

aspetta il bacio del vento;

la perenne fontana d’ambrosia.

Sei d’argento la brina

ch’adorna l’erbetta con mille goccioline di brillanti.

Sei la fata turchina che serio e geloso

serbai con rispetto

nel verde cassetto dei miei sogni.

I diamanti del mondo, il mistero del cuore,

sei le perle del mare.

Sei la dolce canzone d’amore

che pura e celeste

m’investe con voci d’incanto.

Sei il pianto del sole che lieve e dorato

s’adagia sul bianco deserto di neve.

Nel parco stregato: un’orchidea celeste,

nel cielo dorato: la veste dell’Eterno,

per il mio cuore ardente: un tempuscolo d’eternità.

(1960)

 

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È la quiete

Valli lontane,

luna d’argento e lagna d’un cane.

Il venticello profumato di croco carezza il silenzio;

vagan le nuvolette spolverando la luna.

Nella cuna di querce e nell’orto assonnato l’incessante grillio.

È il silenzio.

Dorme il pollaio ricoperto di penne,

dormono le viuzze stanche,

dormono i campi di stoppie,

la casetta con le grate sull’aia dorme;

dormono i fiori, riposan le rose, le cose tacciono:

è la quiete.

Sonnecchia il paese e l’uomo riposa.

Ma qualcuno veglia,

posa il mento sul palmo e guarda,

contempla e pensa, pondera l’infinito.

(1960)

 

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Chi siamo

Seme del cielo

ci culliamo in terra sconoscenti.

Perle del tempio allor,

ora tarli del bello.

Sterpi sballottati al vento,

siamo fabbri del fango,

e quel ch’è brutto,

schiavi di questo e del suo frutto.

Pulci nemiche del leone,

caparbi.

Rigettiam le messi perché buone

e sbalorditi,

guardiamo il sole inebetiti

e non preghiamo.

Infaticabili talpe.

Al buio fatichiam per nulla

e la meta sviamo.

Ciechi.

Siamo tomba di pensiero inerte

Superbi.

(1960)

 

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Chi saremo

Turbineranno i giorni,

voleranno i mesi,

passeranno gli anni;

svanirà così

questo corpo di tentazione

e tornati saremo

ciclo di creazione

nella notte dei tempi.

(1960)

 

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Siete sposa

Or che l’inverno riposa

siete madre,

signora dei miei sogni,

siete sposa

e non me ne raddolo;

anzi,

vi cinga d’allegrezza un volo di colombe

e d’esili profumi primavera vi circondi.

Un’altra estate è consumata;

sui nostri giorni

fecondi di speranze e di sogni

incombe un mondo reale.

Collega dell’infanzia mia,

primiero amore,

il tempo porta via

anche i ricami d’oro,

d’amore e d’allegria.

(1967)

 

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Nel nostro giorno

Come sei oggi

ricordarti sempre

e sempre ognora

adorarti,

vorrei allora

che i sogni miei

saranno autunno

e le mie labbra calde

tremolanti.

Per un momento solo

l’estate andata

ridonarti,

diradando il tempo

e ritornando indietro

respirarti senza tremare

e poterti donare

il meglio che lo specchio

oggi riflette.

Vecchio illuso

vorrei

che lo specchio

ingannar potesse i sensi,

la realtà gabbare

e cancellare

le delusioni da soffrire insieme.

Troppe cose vorrei oggi

per ora e per allora;

ma non pensiamo,

ancora è presto:

amiamo.

(Per mia moglie Grazia, 19/11/1965)

 

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Adige

Sereno inclini a destra,

ameno e docile a sinistra

lambendo briglie,

radici d’elci,

tenere canne,

umili conchiglie,

le mura dei portali ora

e pareti dei canali ancora.

Nulla dici,

la nebbia ti confonde e taci,

il gelo ti fa vetro l’onde

ma vengono gli amanti

alle tue sponde.

Anche il mio fuoco

a cercar il fresco delle brezze

e delle labbra il bacio

adagiato sulla flora scorgesti.

Carpisti l’attimo fugace

di tenerezze calde

sul seno ignudo,

colloqui rari sulla bionda chioma

ebbrezze sconosciute.

Ora esultano l’onde

al guardo che si perde,

rispecchiando il sole.

Il raggio della luna

è cuna alla città di luci che mai riposa.

Adige verde

ecco una rosa

a te che pace doni

e le speranze induci.

(1964)

 

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Ti canto

Spandevi odore dell’aria ardente

vestivi il colore della primavera

parlavi poco da sembrar severa,

ma se ti sfioravo non capivi niente

sentivi solamente recitar silenzi

ed è per questo che ogni tanto

licenzio gli anni e ti canto,

ancora come allora.

(2000)

 

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T’aspetto

Forse stanotte verrai,

verrai questa notte

a mezzo il silenzio

e requie darai al mio cor.

Dammi requie stanotte!

T’aspetto,

pur se costretto a vegliare

e quando il disco d’argento

spento sarà dal tuo mare,

non tardare, ma vieni.

So che non tieni sembianza,

ma quando sarai nella stanza

tornerà quella luce

che il solo pensiero induce

all’attesa.

Lo svago dei versi sicuro già persi

sboccerà di nuovo

e splenderà intorno

il fresco giorno di poesia.

(2000)

 

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