Poesie
Spesso
Mi succede spesso,
soprattutto quando
il mondo di quei giorni passa,
bussa e mi fa capolino.
Appoggiando la mia alla tua fronte,
vo ritornando a monte
di quando, abbracciati,
vicino ti stringevo al cuore;
ad occhi chiusi,
per vagare altrove.
Trepidi e fusi, sognavamo;
e lo facciamo ancora,
anche se ormai questo presente,
che tuttora commuove,
alterna una sorgente d'amarezze
ad una falda di dolcezze al miele.
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Fratelli d'Italia
Fratelli d'Italia l'Italia s'è desta,
parlo di quella, non certo di questa.
Adesso dell'inno che cosa è cambiato,
cosa ne pensa di questo lo stato?
Quell'elmo di Scipio tanto parlato
in casco integrale è stato mutato.
Come vittoria abbiam la Brambilla
per un turismo che poco sfavilla.
Roma fa leggi e le manda repente
alla gente d'Italia che schiava si sente.
"Stringiamoci a coorte" è stato abolito
perché il senatur si sentiva tradito;
"perché siam divisi" nessuno lo sa,
era d'uso così e così si userà.
"Pronti alla morte" neanche per sogno
il parlamento non ne vede il bisogno.
"Uniamoci, amiamoci, l'unione e l'amore"
di questo se n'occupa un famoso signore.
"I bimbi d'Italia si chiaman Balilla"
infatti c'è sempre chi parla e chi strilla;
chi rompe i Maroni, chi se La Russa.
Sacconi spartisce, Tremonti ci bussa,
nessuno più pensa a "Le spade vendute"
abbiam deputati di larghe vedute:
c'è chi telefona, chi illustra la legge,
chi gioca all'iPod, chi parla e chi legge
è Fitto di generi il Transatlantico,
perfino i nomi han del romantico:
ci sono Lupi e Gatti, Orsi e Leoni,
Barbari e Angeli, Zucche e Meloni,
Cardinale e Papa Angelici e Fini
e proprio per questo non fanno Casini.
Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta,
corriamo al palazzo lì si fa festa.
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Freddo in montagna
La stanza rigida e l’alito che fuma.
Sibila il vento, ulula, infuria,
sbatte, s’adira.
Un noce nell’orto combatte;
scheletrito e bruno si curva,
scricchiola, si drizza, quasi s’abbatte;
si scuote, s’inchina, si torce.
Sull’erba in ginocchio,
atterrito e tremante, piagnucola il passero:
a stento saltella.
Belante un agnello prillando rincasa,
rincasa intirizzito un cane,
un pastore ammantato s’affretta;
la vetta ondeggiante si copre di nebbia.
Qualche finestra s’assicura sbattendo;
continua il vento e il cielo s’abbuia.
Fumano i comignoli.
(1960)
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Chi sei per me
Tu sei per me la nuvoletta bianca
che soffice e lontana
aspetta il bacio del vento;
la perenne fontana d’ambrosia.
Sei d’argento la brina
ch’adorna l’erbetta con mille goccioline di brillanti.
Sei la fata turchina che serio e geloso
serbai con rispetto
nel verde cassetto dei miei sogni.
I diamanti del mondo, il mistero del cuore,
sei le perle del mare.
Sei la dolce canzone d’amore
che pura e celeste
m’investe con voci d’incanto.
Sei il pianto del sole che lieve e dorato
s’adagia sul bianco deserto di neve.
Nel parco stregato: un’orchidea celeste,
nel cielo dorato: la veste dell’Eterno,
per il mio cuore ardente: un tempuscolo d’eternità.
(1960)
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È la quiete
Valli lontane,
luna d’argento e lagna d’un cane.
Il venticello profumato di croco carezza il silenzio;
vagan le nuvolette spolverando la luna.
Nella cuna di querce e nell’orto assonnato l’incessante grillio.
È il silenzio.
Dorme il pollaio ricoperto di penne,
dormono le viuzze stanche,
dormono i campi di stoppie,
la casetta con le grate sull’aia dorme;
dormono i fiori, riposan le rose, le cose tacciono:
è la quiete.
Sonnecchia il paese e l’uomo riposa.
Ma qualcuno veglia,
posa il mento sul palmo e guarda,
contempla e pensa, pondera l’infinito.
(1960)
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Chi siamo
Seme del cielo
ci culliamo in terra sconoscenti.
Perle del tempio allor,
ora tarli del bello.
Sterpi sballottati al vento,
siamo fabbri del fango,
e quel ch’è brutto,
schiavi di questo e del suo frutto.
Pulci nemiche del leone,
caparbi.
Rigettiam le messi perché buone
e sbalorditi,
guardiamo il sole inebetiti
e non preghiamo.
Infaticabili talpe.
Al buio fatichiam per nulla
e la meta sviamo.
Ciechi.
Siamo tomba di pensiero inerte
Superbi.
(1960)
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Chi saremo
Turbineranno i giorni,
voleranno i mesi,
passeranno gli anni;
svanirà così
questo corpo di tentazione
e tornati saremo
ciclo di creazione
nella notte dei tempi.
(1960)
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Siete sposa
Or che l’inverno riposa
siete madre,
signora dei miei sogni,
siete sposa
e non me ne raddolo;
anzi,
vi cinga d’allegrezza un volo di colombe
e d’esili profumi primavera vi circondi.
Un’altra estate è consumata;
sui nostri giorni
fecondi di speranze e di sogni
incombe un mondo reale.
Collega dell’infanzia mia,
primiero amore,
il tempo porta via
anche i ricami d’oro,
d’amore e d’allegria.
(1967)
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Nel nostro giorno
Come sei oggi
ricordarti sempre
e sempre ognora
adorarti,
vorrei allora
che i sogni miei
saranno autunno
e le mie labbra calde
tremolanti.
Per un momento solo
l’estate andata
ridonarti,
diradando il tempo
e ritornando indietro
respirarti senza tremare
e poterti donare
il meglio che lo specchio
oggi riflette.
Vecchio illuso
vorrei
che lo specchio
ingannar potesse i sensi,
la realtà gabbare
e cancellare
le delusioni da soffrire insieme.
Troppe cose vorrei oggi
per ora e per allora;
ma non pensiamo,
ancora è presto:
amiamo.
(Per mia moglie Grazia, 19/11/1965)
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Adige
Sereno inclini a destra,
ameno e docile a sinistra
lambendo briglie,
radici d’elci,
tenere canne,
umili conchiglie,
le mura dei portali ora
e pareti dei canali ancora.
Nulla dici,
la nebbia ti confonde e taci,
il gelo ti fa vetro l’onde
ma vengono gli amanti
alle tue sponde.
Anche il mio fuoco
a cercar il fresco delle brezze
e delle labbra il bacio
adagiato sulla flora scorgesti.
Carpisti l’attimo fugace
di tenerezze calde
sul seno ignudo,
colloqui rari sulla bionda chioma
ebbrezze sconosciute.
Ora esultano l’onde
al guardo che si perde,
rispecchiando il sole.
Il raggio della luna
è cuna alla città di luci che mai riposa.
Adige verde
ecco una rosa
a te che pace doni
e le speranze induci.
(1964)
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Ti canto
Spandevi odore dell’aria ardente
vestivi il colore della primavera
parlavi poco da sembrar severa,
ma se ti sfioravo non capivi niente
sentivi solamente recitar silenzi
ed è per questo che ogni tanto
licenzio gli anni e ti canto,
ancora come allora.
(2000)
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T’aspetto
Forse stanotte verrai,
verrai questa notte
a mezzo il silenzio
e requie darai al mio cor.
Dammi requie stanotte!
T’aspetto,
pur se costretto a vegliare
e quando il disco d’argento
spento sarà dal tuo mare,
non tardare, ma vieni.
So che non tieni sembianza,
ma quando sarai nella stanza
tornerà quella luce
che il solo pensiero induce
all’attesa.
Lo svago dei versi sicuro già persi
sboccerà di nuovo
e splenderà intorno
il fresco giorno di poesia.
(2000)