Charles B.

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Racconti

 

Celestino

(Questo racconto non è mio, è di un amico: Fulvio Musso)

Prima, parlavo sempre col cane, ora che lui sta sotto un sasso, m'è venuta l'abitudine di farlo da solo. Oggi, nonostante qualche raggio tirchio, il freddo mette fumetti bianchi intorno alle mie parole. Mi risponde un tronco scuro e fradicio che, come me, s'asciuga al sole che gli esce trasformato in fumo bianco.

Quando sono in pubblico, però, evito di parlare da solo, così mi prendono per normale e posso dare del matto a chi lo fa. Come Celestino che vedevo discutere gesticolando, perso nelle sue questioni con il mondo. Quando lo incontravo, mi salutava sempre con un cenno e il fatto che non mi confondesse coi suoi fantasmi me lo rendeva simpatico e meno matto. Il suo nome, Celestino, l'avevo saputo solo il giorno del suo funerale, qualche mese fa.

Avevo incocciato il corteo per caso e mi aveva colpito la mancanza di fiori e il seguito di sole tre persone. Invece, alla prima traversa, quei tre avevano svoltato per i fatti loro e Celestino era rimasto col prete, un chierico, l'autista del furgone e il vigile accompagnatore che avevo affiancato per chiedere notizie sul defunto.

Parlammo un po' di lui che era un vecchio stanco e infelice, ma non lo sapeva. E man mano, il corteo raccoglieva seguito: il monumento ai Caduti, i trenta platani di viale Mazzini, il manifesto di un concerto, due edicole, la fontana delle rane, non meno di venti lampioni, la cappella di santa Agnese e la santa stessa. Alla fine, credo che i suoi interlocutori ci fossero tutti al suo funerale e, quando attraversammo la piazza, per Celestino s'affacciarono i fiori di tutti i balconi.
(Fulvio Musso)

 

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